Disturbi alimentari

Quando si parla di disturbi alimentari, viene quasi automatico, almeno per il grande pubblico, pensare all’anoressia e alla bulimia. Invece le cose non stanno proprio così.

Infatti, anche se queste ultime, sono fra le patologie più importanti del disturbo alimentare ci sono molte altre patologie forse a torto considerate minori o di minor evidenza che pur tuttavia sono in realtà patologie di una certa gravità e talvolta rappresentano per il soggetto e per la famiglia, se si tratta di un minore, rilevanti difficoltà. Ne cito qui alcune: iperfagia pur non essendo bulimia, fame nervosa durante risvegli notturni, iperselezione alimentare (ortoressia), nausea e vomito nei confronti di un alimento o più, tale da rasentare la fobia,picacismo, paura di intossicarsi con cibi scaduti o avariati ed altri ancora.

Quando si sente la parola anoressia, dato il grande parlare che si è fatto di questa patologia negli ultimi 20/30 anni,la gente sa che si sta parlando di una persona che tende ad evitare il cibo, per paura di ingrassare e di perdere la “linea” pur essendo di una magrezza spesso estrema, mangiando pochissimo o addirittura talvolta astenendosi dal mangiare del tutto durante le crisi. Si arriva persino, nei casi più gravi, al ricovero in ospedale giungendo talora anche all’alimentazione forzata. Così come parlando della bulimia si sa, data la grande diffusione che i media hanno dato di queste due patologie, oltre purtroppo ad un loro relativo lievitare negli ultimi tempi, che si tratta di un comportamento compulsivo e che il soggetto arriva in alcuni casi a mangiare tutto il cibo che c’è in casa o nel frigorifero, provocandosi poi il vomito, per liberarsi ed evitare di ingrassare, specie al femminile. Ma talvolta lo stesso comportamento lo si trova anche in giovani maschi e non solo nelle ragazze, ed anzi sia pur restando ampiamente prevalente nella popolazione femminile, la percentuali di giovani maschi, in genere adolescenti, anoressici, va sia pur lentamente, crescendo.

Più che spiegare i significati delle singole affezioni, che per comodità ho definito minori, ma che forse non lo sono del tutto, mi preme di più porre l’accento su come tutte queste patologie non siano altro che il risultato in qualche modo di una grossa carenza affettiva che in genere è legata alla comunicazione familiare con i genitori, o in particolare con uno di essi. Così come ad es. la iperselezione alimentare (molti cibi non sono graditi e c’è anzi un vero e proprio rifiuto nei loro confronti e solo alcuni, talvolta davvero pochi, quelli ritenuti davvero “sani” fanno parte della dieta del soggetto), tutte le patologie alimentari sono riconducibili a problemi di comunicazione affettiva in famiglia, talvolta con la madre (è la madre che allatta!), ma non sempre, si può trattare di una “difesa nevrotica” anche nei confronti del padre, se non di tutti e due i genitori del minore. Questo spesso accade durante l’adolescenza ma una volta appreso questo comportamento, il disturbo può appartenere anche all’adulto stesso, se non opportunamente curato. Più spesso si hanno delle ricadute, anche se più raramente rispetto all’adolescenza, durante periodi di crisi che la persona si trova ad affrontare.

Naturalmente ne consegue, che se il disturbo è prevalentemente comunicativo come la sistemica ci insegna, vedi Watzlawick, Beavin, Jackson ed altri, Scuola di Palo Alto in California, l’approccio elettivo dovrebbe essere: ripristinare una corretta comunicazione, non patologica, fra i membri della famiglia, nonni compresi se coabitanti. Tant’è che questo tipo di approccio psicoterapico è conosciuto oltre che come sistemica o scuola sistemica anche col nome di terapia familiare o psicoterapia o terapia della famiglia, in quanto coinvolge o dovrebbe coinvolgere tutti i membri di quella famiglia, dove il soggetto sia esso bulimico (si dice anche bulemico da bulemia) o anoressico si trova a vivere.

Qualche anno fa partecipai ad un convegno assai interessante che si intitolava, se non ricordo male, “Disturbi dell’alimentazione, famiglia e affetti”. Ecco questa triade non andrebbe mai dimenticata quando si parla di eating disorder e se mi è permesso, con le ultime due parole quando si parla in generale di nevrosi o disturbi nevrotici. Naturalmente quando la patologia portata in studio è meno severa dell’anoressia vera e propria, (che in alcuni casi se trascurata può anche portare anche alla morte) o la malattia è ad uno stadio iniziale o intermedio, come per gli altri tipi di disturbi definiti più sopra minori, è possibile anche un approccio individuale, specie se il soggetto non è un adolescente ma un adulto e il comportamento alimentare disturbato è una componente di un quadro nevrotico più ampio.