Lasciamo adesso i riti nella storia dell’uomo e parliamo dei riti in psicoterapia e domandiamoci potrebbe esistere una psicoterapia senza riti? Dipende mi viene da rispondere cosa si intende per rito, se per rito si intende qualcosa di complesso , di arcaico finemente strutturato, di magico e suggestivo ci sarebbe proprio da augurarsi di si.Se invece per rito intendo un percorso che al suo interno contenga una sua modalità, allora la psicoterapia tutta è impregnata di riti che non rassicurano si badi bene il paziente ma bensì lo stesso terapeuta!Qui gli esempi si sprecano si pensi soltanto al setting psicanalitico al ricevimento del paziente , all’accomodarsi anzi stendersi di quest’ultimo sul divano, alla posizione dell’analista rigorosamente fuori vista, all’astinenza del terapeuta,alla rigidità dei tempi ed alla claustrofobia degli spazi, ai silenzi ecc.Se poi vogliamo fare un’incursione, finalmente magari penserà qualcuno, allo stesso training autogeno, non è forse proprio questo un percorso codificato? Si pensi alle posture, al paziente lasciato solo nello studio, ai protocolli, alla frequenza degli esercizi, alle modalità, almeno all’inizio, standardizzate se non altro nel convincimento dell’insegnante o terapeuta e così via.La psicoterapia autogena è senz’altro un percorso che si serve di riti o se preferite di ritualità, in modo da poter mantenere un certo controllo sulla prosecuzione dell’apprendimento del Training Autogeno prima, ma anche del Training Autogeno Superiore dopo.Accennerò soltanto all’approccio generale della psicoterapia autogena come una psicoterapia che si serve di modalità particolari per conseguire certi risultati ma dove sia chiaro la stessa ritualità, in questo ed in altri casi, costituisce proprio una parte assai importante del terapia stessa ed anzi oserei dire indispensabile.L’uso del protocollo pensato da Schultz, spesso da alcuni di noi colpevolmente trascurato, non è altro che un modo controllato e controllante, di tenere anzi di contenere le angosce del paziente e di dargli aldilà del merito intrinseco, una cornice fidata e affidabile, in grado di rassicurarlo sul percorso, sulla nostra attenzione e sull’esito stesso del percorso terapeutico.I metodi o meglio le terapie che si occupano anche dell’approccio corporeo, nel dialogo terapeuta paziente, servono a livello profondo, a mettere in contatto la mente e il corpo e quindi a rinforzare l’identità e al tempo stesso evocando o richiedendo un certo tipo di vissuti, confermare quindi l’oggettità, per dirla con Sartre, nella mia relazione con l’altro, volendo qui con questo termine sottolineare la fenomenologia dei vissuti corporei e percettivi, per poi, subito dopo, percepirsi, essere di nuovo un unicum e riallacciare un circuito mente corpo che spesso viene sperimentato o vissuto come scisso, con tutto ciò che questo tragicamente comporta.Noi a differenza delle religioni, e mi si lasci comprendere in questo anche alcuni riti psicanalitici ortodossi e cioè particolarmente rigidi, spero o almeno mi auguro, riusciremo a rimettere in discussione le nostre idee e i nostri concetti e preconcetti, credendo personalmente che la statica (vedi staticità) non possa essere altro che una branca della Fisica e non un programma di vita.In questo senso mi auguro, e in parte è già stato fatto sia da noi (L’abreazione autogena di Luthe,doppio binario di Kretschmer, T.I.A.A e T.A.C.T. di Gastaldo – Ottobre, il T.A. nella dimensione del sentire di Grimaldi, il T.A. in pedagogia ed altri lavori ) sia anche da altre scuole di pensiero(penso ad es. alla P.N.L. e alla sistemica) ;che comunque aldilà del giudizio intrinseco che se ne voglia dare,non venga mai a mancar la voglia di rimettersi in gioco e se è il caso di ridiscutere la stessa dottrina,per non correre il rischio di trasformarci in celebranti dei nostri stessi riti.Nel nostro caso debbo tuttavia aggiungere, riferendomi proprio ad alcuni lavori di cui sopra ed in particolare agli studi sulla autogenia,tutto ciò non fa altro che confermare sia la vitalità della scuola schultziana che la nostra stessa voglia di sperimentarsi.
Vinicio Berti